lunedì 24 dicembre 2018

Buon Natale


Una riflessione per il giorno dell'incarnazione.

da Gioba.it
Beit lehem, casa del pane in ebraico. 
Sembra quasi il fortunato slogan di un pubblicitario di successo dei nostri giorni per il lancio sul mercato di una nuova boutique alimentare.
In realtà è l'emblema delle contraddizioni che, da sempre, accompagnano la vita dell’uomo: una casa - fatta per ospitare - del pane - fatto per essere spezzato e sfamare - e il racconto di una negazione di accoglienza - terribile in una cultura, quella del vicino oriente, per la quale l’ospitare è un dovere sacro.
Una famiglia di rifugiati che vaga nella notte alla ricerca di un rifugio, di una casa, e trova tutte porte sbarrate e - per certi versi cosa ancora più triste - più dalla frettolosa indifferenza che non da vero e proprio malanimo.
Se non avesse più di 2000 anni il racconto ben si sarebbe potuto ambientare ai nostri giorni.
Frettolosa indifferenza che fa dimenticare la prima vocazione dell’uomo, il suo essere “precario” e non signore su questa terra, ospite e non padrone.
A ridosso del Natale di quest’anno mi sembra una riflessione quanto mai attuale; tante notizie, vicine - con l’inevitabile abbattimento di alcune abitazioni a rischio di crollo a pochi chilometri da Macerata - e più o meno lontane - con le tante, troppe storie di migranti privati di ogni speranza - sottolineano questa patologica amnesia che finisce per travolgerci tutti: siamo ontologicamente chiamati ad aprirci all’accoglienza ed alla prossimità, che possiamo, sì, rifiutare, ma a prezzo di una parte del nostro stesso “essere umani”.
Ecco: che questo Natale 2018 possa davvero prenderci allo stomaco, attraverso il paradosso di un Dio che deve farsi bambino, sfollato e migrante, per ricordare a ciascuno di noi cosa vuol dire “essere umano”.

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