mercoledì 11 settembre 2013

La famiglia abita la città

Intervista al prof. Malavasi in vista della 47^ settimana sociale dei cattolici

di Simone Baroncia

Il documento preparatorio alla 47^ settimana sociale dedica un paragrafo (n.24) ad ‘abitare la città’: “Un primo dato significativo è che la percentuale della popolazione mondiale che abita in aree urbane è in costante aumento: nel 1800 solo il 2% della popolazione mondiale viveva in città, nel 1950 la percentuale era salita al 30% e oggi abbiamo superato il 50%. Non si tratta evidentemente di contrastare un fenomeno che rispecchia un trend storico che pare irreversibile, ma piuttosto di comprendere come rapportarsi ad esso in modo attivo e creativo, per evitare che si traduca in una crescita della povertà e della disumanizzazione. Le nostre città sono anche luoghi di esperienza della differenza e del pluralismo, di concentrazione della conoscenza, di innovazione tecnologica e sociale, di esperienze che generano giustizia, conoscenza e fraternità. L’abitare riflette inevitabilmente anche le modificazioni del tessuto sociale e culturale. Le forme dell’abitare sono in continua evoluzione: un tempo la casa era un dato, un sito naturale che ospitava la famiglia e il suo futuro, rappresentando per questo un elemento di stabilità.
Oggi dove, come e con chi abitare sono delle variabili che spesso mutano nel corso dell’esistenza. La flessibilità e la precarietà che caratterizzano il lavoro si riflettono infatti sulle pratiche abitative: assistiamo così al ritorno di forme di coabitazione per fronteggiare le spese, al fenomeno per cui molti giovani, per mancanza di un lavoro stabile, rimangono ad abitare nella casa di famiglia. La relazione tra casa e famiglia, inoltre, è caratterizzata dall’indebolimento dei legami familiari, dall’allungamento della vita, da forme di abitare legate a usi e costumi delle famiglie immigrate. Le abitazioni diventano sempre più piccole, a dimensioni unicellulari o mini-familiari. Tutto ciò crea non poche difficoltà per famiglie che vogliono essere aperte alla vita, e che hanno diritto ad abitare una casa senza incorrere in costi proibitivi”.
A pochi giorni dall’apertura della Settimana Sociale abbiamo chiesto al prof. Pierluigi Malavasi (parteciperà all’imminente Settimana Sociale), ordinario di Pedagogia dell’organizzazione e sviluppo delle risorse umane, e direttore dell’Alta Scuola per l’Ambiente dell’Università Cattolica del ‘Sacro Cuore’, di spiegarci come la famiglia può abitare la città:
Oggi le sfide che la famiglia si trova ad affrontare sono molteplici: sociale, economica, politica; ma il lavoro è la più drammatica di queste sfide per abitare la città, cioè per sviluppare quel senso di appartenenza e di riscatto. La settimana sociale mette fortemente la sua attenzione su un tema che non è tradizionalmente inteso dalla società come il centro. Sovente la famiglia è un ammortizzatore; è un luogo dove non si fa profitto, ma è la cellula fondamentale della società. Invece, mai come in questo momento, la famiglia è decisiva per la tenuta culturale, sociale, economica del nostro mondo. Sud e Nord; globale e locale; oggi la famiglia è la grammatica ed il luogo dove riscoprire il senso profondo delle generazioni. Abitare è generare”.
In un tempo in cui si lavora sempre, occorre rimettere al centro la celebrazione. In quale modo la famiglia può celebrare la vita?
Nel quotidiano; gli affetti, il sentimento delle radici, l’apertura generosa verso coloro che ci sono affianco rappresentano cantieri nuovi dove la celebrazione riprende vigore e ritrova un senso. Quindi celebrare vuol dire mantenere un profondo radicamento verso la terra che ci ha dato i natali, e nello stesso tempo riscoprire la globalità delle relazioni. Oggi il neologismo ‘glocale’ (globale più locale) stringe da vicino questa nuova prospettiva dell’abitare. Oggi celebrare è davvero l’elastico focale delle piccole cose, dagli affetti più vicini alla coltivazione dell’accoglienza verso i ‘lontani’. In definitiva, l’insegnamento che da papa Benedetto XVI è consegnato a papa Francesco e ci consegna è proprio questa capacità, ‘Caritas in Veritate’, di leggere l’amore come la forza che tiene insieme le generazioni, i popoli, il futuro”.

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